Ricorso della Regione Lazio, con sede in Roma, via Cristoforo Colombo n. 212 (c.f. 80143490581), in persona del Presidente pro tempore, Nicola Zingaretti, rappresentata e difesa, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della Deliberazione della Giunta regionale n. 196 del 15 aprile 2014 (doc. 1), dal Prof. Avv. Francesco Saverio Marini (MRNFNC73D28H501U; pec. francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.org; fax. 06.36001570), presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli, 48, ha eletto domicilio; ricorrente; Contro Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna n. 370, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12; resistente; Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante "Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas [per la riduzione dei premi RC-auto], per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015", convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 43 del 21 febbraio 2014, limitatamente all'articolo 13, comma 15-bis, inserito in sede di conversione. Fatto 1. Il rumore rappresenta una delle principali cause di conflittualita' tra gli aeroporti e le comunita' locali residenti in realta' urbane ad esse adiacenti. L'inquinamento acustico costituisce infatti un fattore che, se non gestito adeguatamente, puo' arrecare pregiudizio alla salute e condizionare lo sviluppo del traffico in un determinato aeroporto, con ripercussioni dirette sul sistema economico e territoriale. Nel caso degli aeroporti ubicati nella Regione Lazio, le problematiche acustiche sono aumentate negli ultimi anni, anche in ragione del notevole aumento di traffico a causa dello sviluppo delle compagnie law cost. Tra le contromisure per la mitigazione degli effetti prodotti dal rumore aereo figurano gli interventi normativi istitutivi di imposte sul rumore effettivamente prodotto, quale strumento deterrente e sanzionatorio nonche' compensativo delle esternalita' negative prodotte dalle operazioni aeroportuali. 2. Con la legge 21 novembre 2000, n. 342, "Misure in materia fiscale", veniva istituita (artt. 90-95) l'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili (IRESA), che sostituiva la precedente imposta erariale istituita dall'art. 10 del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, coordinato con la legge di conversione 26 giugno 1990, n. 165, e la precedente imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili - parallela al tributo erariale - istituita con l'art. 18 della legge 27 dicembre 1997, n. 449. 3. Gli articoli 90 e seguenti della citata legge n. 342 del 2000 avevano stabilito che l'IRESA - imposta con parziale vincolo di gettito a favore di opere di disinquinamento acustico e di risarcimento dei soggetti eventualmente danneggiati dalle emissioni sonore - fosse dovuta alle Regioni o alle Province Autonome per ogni decollo o atterraggio di aeromobili civili negli aeroporti, da parte dell'esercente dell'aeromobile ai sensi dell'art. 874 del Codice della navigazione. La base imponibile era determinata in ragione del numero degli atterraggi e decolli, del peso del velivolo, della sua rumorosita', nel rispetto delle nonne internazionali sulla certificazione acustica. L'articolo 90, comma 4, della citata legge, richiedeva un decreto dell'allora Ministro delle finanze di concerto con il Ministro dei trasporti e della Navigazione e il Ministro dell'ambiente, per stabilire le modalita' applicative dell'imposta. Detto regolamento, tuttavia, non e' stato mai emanato. 4. Successivamente, in attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, veniva emanato il d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68, Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonche' di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario, il cui articolo 8 ha stabilito: "Ferma la facolta' per la regione di sopprimerli, a decorrere dal 1° gennaio 2013 sono trasformati in tributi propri regionali (....) l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili (...) di cui agli articoli da 90 a 95 della legge 21 novembre 2000, n. 342". 5. La legge della Regione Lazio 29 aprile 2013, n. 2, Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2013 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25), ai sensi del menzionato articolo 8 del decreto legislativo n. 68/2011, ha cosi' istituito (art. 5) l'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili (IRESA), quale tributo regionale proprio, disciplinando il presupposto dell'imposta, le esenzioni, nonche' la misura. In particolare l'articolo 5, comma 5 della predetta legge regionale specifica che la misura dell'IRESA determinata in riferimento: i) al peso massimo dell'aeromobile al decollo; ii) al livello di emissioni sonore dell'aeromobile, accertato - secondo gli standard di certificazione internazionali ICAO (International civil aviation organization) - dal paese in cui risulta immatricolato l'aeromobile, avendo come riferimento la metodologia di calcolo riportata nell'annesso 16 alla Convenzione sull'aviazione civile internazionale dell'ICAO (capitoli II, III, e IV). Il successivo sesto comma dell'articolo 5 individua, poi, la misura dell'IRESA, distinguendo gli aeromobili in tre macro-classi. L'aliquota varia da un minimo di 1,60 euro per tonnellata o frazione (aeromobili di classe C sotto le 25 tonnellate) ad un massimo di € 2,5 per tonnellata o frazione (aeromobili sprovvisti di certificazione acustica o non rispondenti ai parametri fissati dall'annesso alla convenzione ICAO) (doc. 2). 6. L'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, con la segnalazione prot. n. AS1071 del 27 agosto 2013 (doc. 3), recante "Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili come prevista dall'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 6 maggio 2011", rilevava che la difformita' fra le normative delle sei Regioni che avevano istituito l'IRESA fosse tale da "alterare le condizioni di redditivita' dei vettori che fanno scalo solo in alcuni aeroporti rispetto ad altri, con conseguenze distorsive sotto il profilo concorrenziale per: 1) le compagnie aeree che offrono i propri servizi prevalentemente negli aeroporti dove l'IRESA ha un'incidenza maggiore e non possono agevolmente spostarsi da uno scalo all'altro; 2) i consumatori (prevalentemente non price-sensitive) per i quali, a fronte di tariffe piu' alte determinate dal trasferimento a valle da parte delle compagnie aeree dei maggiori costi sopportati, possono risultare piu' attraenti scali limitrofi a quelli interessati da una maggiore tassazione; 3) le societa' di gestione degli aeroporti, che vedono conseguentemente alterate le proprie condizioni di redditivita' a causa di una riduzione del numero di vettori e/o di consumatori che decidono di frequentare lo scalo". L'Autorita' osservava che "Le problematiche concorrenziali evidenziate possono essere superate attraverso la definizione con legge dello Stato di criteri uniformi per il calcolo dell'imposta, il cui gettito dovra' ovviamente essere devoluto alle regioni di pertinenza, cosi' come peraltro era gia' stato stabilito con la legge 21 novembre 2000, n. 342 (artt. 90-95), prima della modifica intervenuta nel 2011". Inoltre, per evitare "arbitrarie discriminazioni tra scali e tra imprese", riteneva si' dovesse "tener conto dei seguenti parametri utilizzati in altri Paesi UE quali, ad esempio nel Regno Unito, in Germania, in Spagna e in Olanda: i) La previsione di aliquote differenziate tra voli diurni e notturni; ii) La previsione di parametri di pagamento rapportati all'efficienza sonora degli aeromobili e non al tonnellaggio degli stessi; iii) La previsione di classi di aliquote che tengano conto delle peculiarita' urbanistiche delle aree geografiche prospicienti i singoli aeroporti". 7. Da ultimo, con il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, il Governo ha introdotto "Interventi urgenti di avvio del piano "Declinazione Italia", per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas [Per la riduzione dei premi RC-auto], per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015". In particolare, l'articolo 13 del decreto-legge detta "Disposizioni urgenti per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed in materia di trasporto aereo". Con la legge di conversione n. 9 del 21 febbraio 2014 e' stato inserito il comma 15-bis del citato articolo 13, oggetto dell'odierno giudizio. La disposizione stabilisce che: "Al fine di evitare effetti distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali e di promuovere l'attrattivita' del sistema aeroportuale italiano, anche con riferimento agli eventi legali all'EXPO 2015, nella definizione della misura dell'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili (IRESA), di cui agli articoli 90 e seguenti della legge 21 novembre 2000, n. 342, il valore massimo dei parametri delle misure IRESA non puo' essere superiore a euro 0.50. Fermo restando il valore massimo sopra indicato, la determinazione del tributo e' rimodulata tenendo conto anche degli ulteriori criteri della distinzione tra voli diurni e notturni e delle peculiarita' urbanistiche delle ore geografiche prospicienti i singoli aeroporti". 8. Tutto cio' premesso, con il presente ricorso la Regione Lazio, come in epigrafe rappresentata e difesa, impugna il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante "Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas [per la riduzione dei premi RC-auto], per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015", convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, limitatamente all'articolo 13, comma 15-bis, inserito in sede di conversione, trattandosi di previsione lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione e, pertanto, illegittima alla luce dei seguenti motivi di Diritto I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, per violazione degli articoli 77, comma 2,117, comma 3 e 119, commi 1 e 2 della Costituzione. 1. L'articolo 13, comma 15-bis, del decreto-legge n. 145 del 2013, inserito in sede di conversione dalla legge n. 9 del 2014, si mostra costituzionalmente illegittimo, in primo luogo, in quanto il Governo e il Parlamento hanno eluso il principio di omogeneita' della decretazione d'urgenza, sia con riferimento alla disciplina del decreto-legge nella sua complessita', sia con specifico riguardo all'oggetto della norma impugnata - inserita solo dalla legge di conversione - rispetto al contenuto del decreto-legge. Tale vizio ridonda nella menomazione delle attribuzioni costituzionali della Regione Lazio e nel vulnus della sua autonomia finanziaria, costituzionalmente tutelati dagli articoli 117, terzo comma e 119 della Costituzione. In particolare, la disposizione impugnata, stabilendo il valore massimo dei parametri cui ancorare l'imposta IRESA, ad oggi divenuta tributo regionale proprio per effetto dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 68/2011, e' indebitamente andata ad incidere - come si chiarira' nel prosieguo - su una materia di legislazione concorrente, quale il "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario". Inoltre, trattandosi, appunto, di un tributo regionale proprio, e cioe' di tributo "istituito dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non gia' assoggettati ad imposizione erariale" (art. 7, comma 1, lett. b), n. 3, legge 5 maggio 2009, n. 42 - "Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione"), la norma impugnata incide direttamente sull'autonomia finanziaria della Regione Lazio di cui all'articolo 119, commi 1 e 2 della Costituzione. Da quanto detto discende l'ammissibilita' della presente questione di legittimita' costituzionale. Codesta Corte, infatti, con giurisprudenza costante ritiene ammissibili le q.l.c. prospettate da una Regione, nell'ambito di un giudizio in via principale, in riferimento a parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione, riguardanti il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni, quando sia possibile rilevare la ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, sentenze n. 128 del 2011, n. 326 del 2010, n. 116 del 2006, n. 280 del 2004). In particolare, con riferimento all'art. 77 Cost., la Consulta ha riconosciuto che le Regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione del medesimo art. 77, "ove adducano che da tale violazione derivi una compressione delle loro competenze costituzionali" (sentenza n. 6 del 2004). Che e' appunto quanto si lamenta nel caso di specie. 2. Venendo, ora, al merito della questione, l'elusione dell'art. 77, comma 2, della Costituzione, sotto il profilo del difetto di omogeneita' della disciplina oggetto della decretazione d'urgenza emerge, gia' prima facie, in base alla mera lettura del titolo del decreto-legge, rubricato "Interventi urgenti di avvio del piano "Destinazione Italia", per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas [per la riduzione dei premi RC auto], per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015». L'eterogeneita' delle discipline oggetto del decreto-legge impugnato e' confermata anche dall'epigrafe del provvedimento, ove si attesta "la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare misure per l'avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi rc-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione di opere pubbliche, quali fattori essenziali di progresso e opportunita' di arricchimento economico, culturale e civile e, nel contempo, di rilancio della competitivita' delle imprese". Scendendo, poi, nel dettaglio del decreto-legge, si riscontra l'introduzione di discipline "a regime" del tutto eterogenee, incidenti su una pluralita' di materie. La giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, come noto, collega il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico (cfr. Corte cost., sentt. n. 171 del 2007, n. 121 del 2008). Nel caso che qui occupa, le fattispecie disciplinate dal d.l. n. 145/2013 non appaiono accomunate da una natura unitaria, ne' del resto l'introduzione di interventi oggettivamente eterogenei risulta soneria dalla necessita' di approntare rimedi urgenti rispetto a situazioni straordinarie venutesi a determinare. Infatti, il "progresso e opportunita' di arricchimento economico, culturale e civile", come pure il "rilancio della competitivita' delle imprese", non possono certo considerarsi situazioni straordinarie idonee a giustificare una disciplina di tal fatta. Recentemente codesta Corte ha ulteriormente evidenziato, sul punto, che l'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) - la' dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» pur non avendo, in se' e per se', rango costituzionale, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell'art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di necessita' e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento (Corte cost., sent. n. 22 del 2012). 3. Il vizio di eterogeneita' censurato riguarda anche, specificamente, la norma oggetto del presente giudizio, inserita in sede di conversione dalla legge n. 9 del 2014. Sul punto, e' noto che la legge di conversione deve osservare la necessaria omogeneita' del decreto-legge (nella specie peraltro assente, come si e' appena eccepito), la cui interna coerenza va valutata in relazione all'apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessita' e urgenza. Il principio della sostanziale omogeneita' delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge e' pienamente recepito dall'art. 96-bis, comma 7, del regolamento della Camera dei deputati, che dispone: «Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge». Sulla medesima linea si colloca la lettera inviata il 7 marzo 2011 dal Presidente del Senato ai Presidenti delle Commissioni parlamentari, nonche', per conoscenza, al Ministro per i rapporti con il Parlamento, in cui si esprime l'indirizzo «di interpretate in modo particolarmente rigoroso, in sede di conversione di un decreto-legge, la norma dell'art. 97, comma 1, del regolamento, sulla improponibilita' di emendamenti estranei all'oggetto della discussione». Ne discende che l'innesto, nell'iter di conversione, dell'ordinaria funzione legislativa puo' essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d'urgenza e potere di conversione. Se tale legame viene interrotto, l'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalita' di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge, determina la violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost. La giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte e' costante nel ritenere che "la legge di conversione deve avere un contenuto omogeneo a quello del decreto-legge. Cio' in ossequio, prima ancora che a regole di buona tecnica normativa, allo stesso art. 77, secondo comma, Cost., il quale presuppone «un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario» (sentenza n. 22 del 2012). La legge di conversione - per l'approvazione della quale le Camere, anche se sciolte, si riuniscono entro cinque giorni dalla presentazione del relativo disegno di legge (art. 77, secondo comma, Cost.) - segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal rispetto di tempi particolarmente rapidi, che si giustificano alla luce della sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente fora di legge, emanato provvisoriamente dal Governo e valido per un lasso temporale breve e circoscritto. Dalla sua connotazione di legge a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilita' del decreto-legge. La legge di conversione non puo', quindi, aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore, come del resto prescrivono anche i regolamenti parlamentari (art. 96-bis del Regolamento della Camera dei Deputati e art. 97 del Regolamento del Senato della Repubblica, come interpretato dalla Giunta per il regolamento con il parere dell'8 novembre 1984). Diversamente, l'iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l'atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare. Pertanto, l'inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del decreto-legge, o alle finalita' di quest'ultimo, determina un vizio della legge di conversione in parte qua" (cfr., tra le ultime, sent. n. 32 del 2014, ord. n. 34 del 2013, sent. n. 22 del 2012). La Corte aggiunge, ancora, che quello denunciato e' un vizio procedurale peculiare, che per sua stessa natura puo' essere evidenziato solamente attraverso un esame del contenuto sostanziale delle singole disposizioni aggiunte in sede parlamentare, posto a raffronto con l'originario decreto-legge. All'esito di tale esame, le eventuali disposizioni intruse risulteranno affette da vizio di formazione, per violazione dell'art. 77 Cost., mentre saranno fatte salve tutte le componenti dell'atto che si pongano in linea di continuita' sostanziale, per materia o per finalita', con l'originario decreto-legge. Nel caso di specie, la norma impugnata si mostra del tutto estranea alla materia e alle finalita' del decreto-legge n. 145/2013, dal contenuto peraltro gia' inammissibilmente eterogeneo. Il comma 15-bis dell'articolo 13, inserito dalla legge di conversione, stabilisce, al dichiarato fine di "evitare effetti distorsivi della concorrenza", che nella definizione dell'IRESA il valore massimo dei parametri delle misure non possa superare il limite di € 0,50. Ora, e' agevole riscontrare come detto intervento normativo sia eterogeneo rispetto alle finalita' perseguite dal Governo attraverso la decretazione d'urgenza, desumibili dall'epigrafe del provvedimento, e cioe' quelle di emanare misure per l'avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi rc-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015. Non si vede, invero, nemmeno il nesso di funzionalita' tra il comma 15-bis e il precedente comma 15 dell'articolo 13, quest'ultimo originariamente inserito nel decreto-legge n. 145 del 2013 e solo parzialmente modificato dalla legge di conversione, il quale nella formulazione vigente recita: "I gestori aeroportuali comunicano all'Autorita' di regolazione dei trasporti e all'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile l'esito delle procedure previste dal comma 14, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitivita'". A sua volta il comma 14 dell'articolo 13, come convertito, prevede che "I gestori di aeroporti che erogano contributi, sussidi o ogni altra forma di emolumento ai vettori aerei in funzione dell'avviamento e sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, devono esprimere procedure di scelta del beneficiario tra parenti e tali da garantire la piu' ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati, secondo modalita' da definirsi con apposite Linee guida adottate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti l'Autorita' di regolazione dei trasporti e l'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Il censurato comma 15-bis, dunque, si mostra del tutto eterogeneo rispetto alle misure introdotte e disciplinate dai precedenti commi 14 e 15, come pure diverse appaiono le finalita' dell'intervento del legislatore. E cio' risulta confermato dal fatto che il comma 15-bis e' dichiaratamente volto alla tutela della concorrenza, mentre nel comma 14 il riferimento a "procedure di scelta del beneficiario che siano concorrenziali", originariamente previsto dal d.l. n. 145/2013, e' stato rimosso dalla legge di conversione n. 9 del 2014. Ancora, la disciplina inserita dall'impugnato comma 15-bis si mostra eterogenea rispetto ai contenuti complessivi dell'articolo 13, rubricato "Disposizioni urgenti per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed in materia di trasporto aereo", atteso che la disposizione in esame incide soltanto formalmente sulla materia del trasporto aereo, dettando invece una disciplina incidente sull'imposta collegata alla rumorosita' degli aeromobili, e dunque sorretta da una diversa ed autonoma ratio. Si e' gia' anticipato in narrativa, infatti, che detta imposta e' nata quale strumento deterrente e sanzionatorio, nonche' compensativo delle esternalita' negative prodotte dalle operazioni aeroportuali, e dunque la sua disciplina risponde a finalita' del tutto diverse da quelle indicate nella rubrica dell'articolo 13 e sviluppate nel corpo della disposizione. Si chiede dunque, alla luce di quanto precede, che codesta ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'impugnato articolo 13, comma 15-bis, del d.l. n. 145/2013, inserito, in sede di conversione, dalla legge n. 9 del 2014, per eterogeneita' del contenuto del decreto-legge, e in quanto con l'introduzione della norma contestata il Legislatore ha esorbitato dalla potesta' di emendamento in sede di conversione, limitata ai soli emendamenti e articoli aggiuntivi che siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge. Come detto, tale vizio ridonda direttamente su attribuzioni spettanti alla Regione Lazio per Costituzione. Infatti, in attuazione degli articoli 2 e 7 della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», l'articolo 8 del decreto legislativo n. 68/2011 ha stabilito che dal 1° gennaio 2013 l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili civili e' trasformata in tributo regionale proprio. Ne discende la competenza della Regione di istituire detta imposta e di disciplinarne specificamente i contenuti. In particolare, con la legge regionale n. 2 del 2013, la Regione Lazio ha istituito l'IRESA quale tributo regionale proprio, a decorrere dal 1° maggio 2013 (art. 5). L'intervento normativo in esame, individuando la misura massima cui ancorare i parametri di definizione dell'IRESA, e' andato dunque ad incidere direttamente sull'autonomia finanziaria che l'art. 119, comma 2, della Costituzione attribuisce alle Regioni, le quali (insieme agli altri enti indicati dalla norma), hanno risorse anche autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. L'intervento in questione, inoltre, sebbene dichiaratamente volto alla tutela della concorrenza, e' andato ad incidere trasversalmente su un ambito materiale deferito alla competenza legislativa regionale concorrente, e cioe' appunto il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Anche codesta ecc.ma Corte ha recentemente chiarito che la disciplina relativa a tributi regionali propri (come nel caso di specie), diversamente da quella relativa ai tributi regionali derivati (cioe' istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito e' attribuito alle Regioni), e' ascrivibile alla materia, di competenza legislativa concorrente, "coordinamento del sistema tributario" di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. (sentenza n. 121 del 2013, sent. n. 30 del 2005). Concludendo, secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte, "nella misura in cui le Camere non rispettano la funzione tipica della legge di conversione. facendo uso della speciale procedura per essa prevista al fine di perseguire scopi ulteriori rispetto alla conversione del provvedimento del Governo, esse agiscono in una situazione di carenza di potere. In tali casi, in base alla giurisprudenza di questa Corte, l'atto affetto da vizio radicale nella sua formazione e' inidoneo ad innovare l'ordinamento e, quindi, anche ad abrogare la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010). Sotto questo profilo, la situazione risulta assimilabile a quella della caducazione di norme legislative emanate in difetto di delega, per le quali questa Corte ha gia' riconosciuto, come conseguenza della declaratoria di illegittimita' costituzionale, l'applicazione della normativa praticate (sentenze n. 5 del 2014 e n. 162 del 2012), in conseguenza dell'inidoneita' dell'atto, per il radicale vizio procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi anche per modifica o sostituzione» (Corte cost., sent. n. 32 del 2014). Si insiste, dunque, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis, del d.l. n. 145/2013, inserito, in sede di conversione, dalla legge n. 9 del 2014, per violazione degli articoli 77, secondo comma, 117 e 119 della Costituzione. II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, per violazione degli articoli 117, comma 2, lett. e) in combinato disposto con l'art. 3 della Costituzione. 1. Il comma 15-bis dell'articolo 13, d.l. n. 145/2013, inserito dalla legge di conversione n. 9 del 2014, stabilisce che, "al fine di evitare effetti distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali e di promuovere l'attrattivita' del sistema aeroportuale italiano", nella definizione della misura dell'IRESA il valore massimo dei parametri delle misure non possa essere superiore a 0,50 euro. Si ritiene che l'intervento normativo in questione, sebbene dichiaratamente volto all'esercizio di una competenza che la costituzione riconosce come statale, abbia oltrepassato i limiti di ragionevolezza e proporzionalita' che, secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte, fungono da parametro di valutazione della legittimita' dell'incidenza dell'intervento statale sulle attribuzioni regionali. Benche', infatti, si riconosca al legislatore statale, nell'esercizio della propria competenza nelle materie c.d. trasversali - quale, appunto, quella della tutela della concorrenza di cui all'art. 117, comma 2, lett. e) Cost. - la possibilita' di incidere su ambiti materiali deferiti alla competenza regionale concorrente o residuale, si afferma altresi' che tale ingerenza e' legittima nei limiti della ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento. Nel caso de quo, l'irragionevolezza della normativa rispetto allo scopo perseguito appare dimostrata da diversi fattori. In primo luogo, la disposizione richiamata viola l'articolo 117, comma 2, lett. e) Cost., in combinato disposto con l'articolo 3 Cost., sotto il profilo della contraddittorieta' intrinseca della disposizione e della sua genericita'. Il legislatore, infatti, ha introdotto una disciplina elusiva dello stesso scopo dichiaratamente affermato dalla norma, e dal carattere eminentemente indefinito. In proposito - come rilevato in fatto - la norma impugnata e' stata pensata ed emanata a seguito della segnalazione dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato n. AS1071 del 27 agosto 2013, avente appunto ad oggetto "Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili come prevista dall'art. 8 del decreto legislativo n. 68 del 6 maggio 2011" (doc. 3). L'Antitrust, in particolare, aveva rilevato che, a seguito della trasformazione dell'IRESA in tributo regionale proprio, l'imposta era stata istituita soltanto in sei Regioni, e che nella disciplina dell'IRESA, queste ultime non avessero tenuto in considerazione le differenze tra voli diurni e notturni, le caratteristiche urbanistiche dei vari scali, l'effettivo livello di emissioni sonore dei velivoli. Pertanto l'Antitrust suggeriva "la definizione con legge dello Stato di criteri uniformi per il calcolo dell'imposta", tenendo in considerazione alcuni parametri utilizzati in altri Paesi UE quali, ad esempio: i) la previsione di aliquote differenziate tra voli diurni e notturni; ii) la previsione di parametri di pagamento rapportati all'efficienza sonora degli aeromobili e non al tonnellaggio degli stessi; iii) la previsione di classi di aliquote che tengano conto delle peculiarita' urbanistiche delle aree geografiche prospicienti i singoli aeroporti. Il legislatore, lungi dall'individuare "criteri uniformi per il calcolo dell'imposta", ha invece fissato, inopinatamente, il limite massimo "dei parametri delle misure IRESA", con cio' radicalmente eccedendo le indicazioni dell'Antitrust ed anzi sostanzialmente raggirandole. Per effetto della norma impugnata, infatti, i criteri per la determinazione dell'IRESA sono rimasti indefiniti, se si esclude il generico riferimento, nell'ultimo periodo della disposizione impugnata, a "gli ulteriori criteri della distinzione tra voli diurni e notturni e delle peculiarita' urbanistiche delle aree geografiche prospicienti i singoli aeroporti", in base ai quali dovrebbe essere "rimodulata" la determinazione del tributo, "fermo restando il valore massimo sopra indicato". Ebbene non c'e' dubbio che, attraverso la fissazione di un tetto di imposta cosi' basso (€ 0,50 indipendentemente dal parametro preso in considerazione), il legislatore abbia sostanzialmente voluto svuotare di contenuto l'imposta, in modo da azzerarne le incidenze. L'effetto raggiunto e' esattamente opposto a quello di incentivo della concorrenza, il quale ultimo consiste appunto nel premiare e incentivare le imprese piu' efficienti (che si dotino, ad esempio, di apparecchi meno rumorosi e inquinanti). Cosi facendo, invece, i mezzi piu' obsoleti e rumorosi saranno soggetti ad un regime sostanzialmente analogo a quello riservato ai velivoli piu' efficienti - posto che un limite di imposta cosi' basso e' inidoneo a ingenerare differenze quantitative significative, a fronte invece di evidenti disparita' qualitative fra i mezzi - con conseguente elusione del principio di concorrenza. Come pure svuotata, per le stesse ragioni, risulta la ratio sottesa all'istituzione dell'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, consistente appunto in una misura deterrente e sanzionatoria nonche' compensativa delle esternalita' negative prodotte dalle operazioni aeroportuali, e allo stesso tempo incentivante l'efficienza nella dotazione dei velivoli da parte delle imprese del settore. 2. Sotto concorrente profilo, l'irragionevolezza della norma si evince altresi' confrontando il valore massimo fissato dal legislatore statale rispetto alla misura dell'imposta stabilita dalle altre Regioni che hanno istituito l'IRESA quale tributo regionale proprio, ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 68/2011. In particolare, il limite massimo fissato dal comma 15-bis e' grandemente inferiore rispetto alle soglie minime stabilite dalla legge regionale del Lazio n. 2 del 2013 (doc. 2), e comunque inferiore a tutte le soglie massime applicate dalle altre Regioni che hanno istituito l'IRESA quale tributo regionale proprio. Ancora a conferma dell'irragionevolezza dell'intervento normativo, sotto il profilo del difetto di proporzionalita', si consideri altresi' che, come ricordato anche dall'Antitrust nella propria segnalazione, in data 6 dicembre 2012, la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome aveva approvato un documento rubricato "IRESA (imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili): Modalita' applicative», al dichiarato fine di "favorire uniformita' di disciplina nelle Regioni ordinarie ed evitare che elementi operativi o di dettaglio possano condurre a discriminazioni tra le diverse Regioni" (doc. 4). Ebbene il documento in questione, riconoscendo, in via preliminare, che la determinazione delle aliquote applicabili rientra "nell'ambito di autonomia di entrata e di spesa riconosciuta a ciascuna Regione", ha approvato uno schema-tipo di proposta di legge regionale istitutiva con tabella allegata. Ebbene, le forbici previste dalla tabella in esame stabiliscono - al pari della Regione Lazio - un limite massimo di applicazione dell'aliquota pari ad € 2,50, e dunque grandemente superiore a quello stabilito dall'impugnato comma 15-bis, pari ad € 0,50. Quest'ultimo tetto, inoltre, e' addirittura inferiore all'importo minimo dell'aliquota stabilito dalla Conferenza per determinate categorie di aeromobili (doc. 4). A fronte di quanto precede, non si capisce davvero in base a quali risultati fattuali o approfondimenti istruttori il legislatore sia giunto alla determinazione della soglia di 0,50 operata con la norma impugnata. Approssimazione che risulta ancora piu' evidente se si considera che la norma si dimentica addirittura di individuare il parametro cui riferire il limite dello 0,50. Il che rende ancor piu' manifesto il vizio di irragionevolezza che connota l'intervento normativo e che lo rende costituzionalmente illegittimo pur se asseritamente volto alla tutela della concorrenza. 3. Ancora ad indizio dell'irragionevolezza della norma oggetto del presente giudizio, sotto il profilo del difetto di proporzionalita', si consideri che per effetto della norma impugnata gli introiti della Regione Lazio relativi alla riscossione dell'IRESA subiranno una decurtazione superiore al 70%, con perdite di circa 40 milioni di euro l'anno. Infatti, la legge regionale n. 2 del 29 aprile 2013, istituendo l'IRESA e fissando le relative aliquote, ha stimato un gettito annuo di circa 55 milioni di euro, mentre con l'applicazione del tetto massimo introdotto dal contestato comma 15-bis, il gettito proveniente dall'IRESA per la Regione Lazio si attesterebbe a circa 15 milioni di euro, con una perdita di circa il 73% (doc. 5). Il sacrificio imposto alla Regione, peraltro, non trova adeguata corrispondenza nel beneficio che, dalla determinazione della soglia di € 0,50, trarrebbero gli utenti del servizio. Infatti per effetto della decurtazione in esame le tariffe praticate dagli operatori del settore (che sono soliti "ricaricare" l'ammontare del tributo sul costo del biglietto) non sarebbero soggette ad un risparmio incisivo, con la conseguenza che anche gli effetti concorrenziali che vorrebbero perseguirsi con la norma impugnata risulterebbero di irrilevante incidenza. Deve dunque concludersi che l'art. 13, comma 15-bis, del d.l. n. 145/2013, come inserito dalla legge di conversione n. 9 del 2014, sia costituzionalmente illegittimo in quanto il legislatore, nell'esercitare la propria competenza esclusiva nella materia "trasversale" della tutela della concorrenza, ha travalicato i limiti di ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento, senza peraltro ottenere nessun risultato utile sotto il profilo specificamente tutelato. Si insiste pertanto per l'annullamento della norma impugnata per violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 117, comma 2, lett. e) della Costituzione. III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, per violazione degli articoli 3, 117, commi 2 e 3, e 119, commi 1 e 2 della Costituzione, anche con riferimento all'articolo 11 del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68 e all'articolo 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. 1. La norma impugnata si mostra costituzionalmente illegittima anche in quanto ingerisce indebitamente sulle attribuzioni spettanti alla Regione Lazio ai sensi dell'art. 117, comma 3 della Costituzione, nonche' sulla sua autonomia finanziaria costituzionalmente riconosciuta dall'art. 119, commi 1 e 2. Valgano, in proposito, le seguenti considerazioni. L'articolo 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, ha stabilito che, "Ferma la facolta' per le regioni di sopprimerli, a decorrere dal 1° gennaio 2013 sono trasformati in tributi propri regionali (...) l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, (...) di cui agli articoli da 90 a 95 della legge 21 novembre 2000, n. 342». Per effetto della norma in commento, dunque, l'IRESA, originariamente disciplinata dagli artt. 90 e seguenti della legge n. 342/2000, e' stata trasformata in un tributo regionale proprio in senso stretto, ai sensi del richiamato articolo 7, comma 1, lett. b), n. 3) della legge n. 42 del 2009. La disciplina dell'IRESA, pertanto, e' oggi ascrivibile alla materia, di competenza legislativa concorrente, "coordinamento del sistema tributario" di cui al terzo comma dell'articolo 117 Cost.. Codesta ecc.ma Corte ha recentemente chiarito che soltanto per i tributi regionali c.d. "derivati" (cioe' istituiti e regolati con legge dello Stato), la competenza legislativa rimane esclusivamente statale ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. e) della Costituzione, mentre nel caso di tributi "degli altri enti", e per quanto qui rileva di quelli istituiti e regolati da leggi regionali, la competenza legislativa e' concorrente (sent. n. 121 del 2013). Nel caso in esame, la Regione Lazio con legge regionale n. 2 del 2013 ha provveduto (art. 5) ad istituire l'IRESA quale tributo regionale proprio e a dettarne la relativa disciplina, stabilendo, tra l'altro, le aliquote dell'imposta sulla base di diversi parametri. 2. Cio' premesso, e' evidente come il comma 15-bis dell'articolo 13 del d.l. n. 145/2013, inserito in sede di conversione, nello stabilire la misura massima dei parametri per la definizione dell'IRESA, abbia inciso appunto su una sfera competenziale attribuita alla legislazione regionale (per effetto del menzionato art. 8, d.lgs. n. 68/2011), sotto il profilo del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. L'intervento in questione, tuttavia, esorbita dalla potesta' legislativa di principio concessa allo Stato in subiecta materia, considerato che si tratta, a ben vedere, non di un principio fondamentale di coordinamento del sistema tributario, bensi' di una statuizione di dettaglio di immediata applicazione nei confronti delle Regioni. Infatti, la determinazione di una aliquota massima cosi' bassa, pari a € 0,50 indipendentemente dai parametri di definizione utilizzati, finisce per svuotare di contenuto le attribuzioni regionali inerenti la graduazione dell'aliquota in base alle caratteristiche del velivolo o in base agli altri parametri utilizzati. In altre parole, il legislatore regionale sara' costretto ad applicare, per tutti i velivoli, la soglia massima stabilita dal legislatore, posto che altrimenti l'istituzione dell'imposta risulterebbe del tutto inutile, in quanto il gettito resterebbe in gran parte o totalmente assorbito dai costi amministrativi per la riscossione dell'imposta, per il controllo e la lotta all'evasione. In altri termini, fissando aliquote inferiori, differenziate per tipologia di velivolo o in base ad ulteriori parametri, si rischierebbe di ottenere l'assurdo risultato per cui i costi per la riscossione dell'imposta sarebbero superiori alle relative entrate riservate alla Regione. Insomma, la norma impugnata fissa una misura massima cosi' bassa da risultare, nella sostanza, una statuizione di dettaglio di immediata applicazione, come tale non consentita nella suddetta materia di potesta' legislativa concorrente. Ne' per legittimare l'intervento statale potrebbe farsi leva sull'esercizio della competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza. Sul punto non puo' non rilevarsi, in senso contrario, che qualsiasi tributo regionale proprio, quale l'IRESA, incide, per definizione, sulle attivita' economiche interessate dal relativo presupposto di imposta, comportando, per l'effetto, delle fisiologiche differenze tra le varie Regioni. Ne consegue che, laddove si ammettesse il potere dello Stato di intervenire in modo cosi' penetrante attraverso l'esercizio della competenza sulla concorrenza, si finirebbe per eliminare la garanzia costituzionale offerta alla competenza regionale sui tributi propri, svuotando di significato l'articolo 119 della Costituzione. 3. Si consideri, ancora, che la nonna impugnata, incidendo in modo significativo sulle entrate della Regione Lazio;si mostra elusiva degli articoli 117 e 119 Cost., in combinato disposto con l'art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011 e con l'art. 29 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, di attuazione dell'articolo 81 della Costituzione, anche in relazione all'art. 3 della Costituzione, per difetto di proporzionalita' e ragionevolezza. Come accennato, con l'introduzione del tetto massimo dell'aliquota a € 0,50, il gettito proveniente dall'IRESA per la Regione Lazio si attesterebbe a circa 15 milioni di euro, con una differenza di 40 milioni di euro annui rispetto alle entrate attese, e dunque con una perdita della partita di bilancio pari al 73% (doc. 5). Tale criticita' e' stata segnalata anche dalla Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione nella seduta del 6 febbraio 2014, nonche' dal Servizio Studi della Camera dei Deputati, i quali hanno osservato "che la disposizione prevista al comma 15-bis risulta suscettibile di ridurre in modo significativo le entrate di alcune regioni che hanno deliberato aliquote d'imposta superiori, talora anche in misura rilevante, rispetto al tetto massimo indicato dalla norma. Restando invariata la facolta' di spesa delle regioni, delimitata dal patto di stabilita' interno, la disposizione sembra suscettibile di incidere negativamente anche sui saldi complessivi di finanza pubblica. In proposito ritiene opportuno acquisire l'avviso del Governo" (doc. 6). Il menzionato art. 13, comma 15-bis si mostra illegittimo anche sotto un distinto e concorrente profilo. L'autonomia regionale e', infatti, lesa - e corrispondentemente risultano violati gli artt. 117 e 119 Cost. - anche per il fatto che l'intervento statale e' privo di copertura finanziaria, nel senso che elimina un'imposta regionale senza specificare le misure compensative. Si consideri, sul punto, che l'art. 11 del d.lgs. n. 68/2011, prevede, al primo comma, che "gli interventi statali sulle basi imponibili e stille aliquote dei tributi regionali di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), della citata legge n. 42 del 2009 sono possibili, a parita' di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi". Ulteriore indice dell'irragionevolezza della disciplina censurata sta nel fatto che l'art. 15-bis non contiene la previsione dell'onere - inteso anche come minore entrata - a carico dei bilanci regionali, ne' l'indicazione della copertura dell'onere stesso riferita a detti bilanci annuali e pluriennali. A tal proposito si precisa che l'articolo 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 - "Legge di contabilita' e finanza pubblica" - prevede, specificando l'art. 81, quarto comma della Costituzione, che "Le leggi e i provvedimenti che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche devono contenere la previsione dell'onere stesso e l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali". Alla luce di tutto quanto precede, si insiste per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis, d.l. n. 145/2013, inserito dalla legge di conversione n. 9 del 2014, per violazione degli artt. 3, 117, commi 2 e 3, e 119, commi 1 e 2 della Costituzione, anche con riferimento all'art. 11 del d.lgs. n. 68/2011 e all'art. 19 della legge n. 196 del 2009, di attuazione dell'art. 81 Cost. IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, inserito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, per violazione dell'art. 120, in combinato disposto con gli articoli 117 e 119 della Costituzione, sotto il profilo del principio della leale collaborazione. Da ultimo, l'impugnato comma 15-bis si mostra costituzionalmente illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione. Al riguardo occorre premettere che l'intervento in esame, benche' dichiaratamente ricollegato all'esercizio della potesta' legislativa statale in materia di "tutela della concorrenza", detta una disciplina che, per tutto quanto detto ai motivi che precedono, incide su ulteriori ambiti materiali di competenza regionale. In proposito, si ribadisce che il comma 15-bis, fissando la misura massima dei parametri di definizione dell'imposta IRESA, tributo regionale proprio in senso stretto, ha inciso direttamente su un ambito materiale di competenza legislativa regionale concorrente, il "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario", di cui all'art. 117, comma 3 della Costituzione, nonche' sull'autonomia finanziaria della Regione Lazio, riconosciuta dall'art. 119, commi 1 e 2 Cost., introducendo una disciplina che non puo' nemmeno essere qualificata quale principio generale di coordinamento, bensi' come disciplina di dettaglio immediatamente applicativa. Tali circostanze avrebbero reso necessario il coinvolgimento delle Regioni nella formulazione dell'emendamento di cui al comma 15-bis dell'art. 13 del d.l. n. 145/2013, inserito in sede di conversione. Peraltro va evidenziato che, secondo un costante orientamento di codesta ecc.ma Corte, "ai fini del giudizio di legittimita' costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quelle ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza" (ex multis, sentenze n. 164 del 2012, n. 182 del 2011 e n. 247 del 2010). Pertanto, "per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, deve farsi riferimento all'oggetto ed alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, cosi' da identificare correttamente e compiutamente anche l'interesse tutelato" (sentenze n. 430, n.196 e n. 165 del 2007). Tale considerazione impone di riflettere, in primo luogo, sull'effettiva ascrivibilita' della disciplina recata dal comma 15-bis impugnato alla materia "tutela della concorrenza". L'intervento in esame, come si e' gia' eccepito, non e' idoneo ad ingenerare alcuna apertura concorrenziale del mercato, anzi, appiattendo l'imposta IRESA ad un valore talmente basso da risultare tamquam non esset, finisce per violare lo stesso principio concorrenziale che vuole premiare le imprese piu' efficienti e competitive (quelle che, per quanto qui rileva, si dotino di apparecchi meno rumorosi ed inquinanti). Piuttosto, dettando un preciso vincolo al legislatore regionale nella disciplina di un tributo "proprio", il comma 15-bis dovrebbe essere ricondotto, in via prioritaria, alla materia del "coordinamento del sistema tributario". Ad ogni modo, pur a voler ricondurre effettivamente il comma 15-bis alla competenza statale in materia di concorrenza, resta il fatto che l'intervento in esame incide direttamente su un interesse differenziato della Regione e che interferisce in misura rilevante sulle scelte rientranti nelle competenze della medesima in materia di tributi regionali propri. Ebbene, quando un medesimo oggetto sia imputabile a materie, non solo diverse, ma anche sottoposte a diversi regimi competenziali, (nelle ipotesi, cioe', in cui ricorra una c.d. "concorrenza di competenze"), il legislatore statale e' tenuto ad "attribuire adeguato rilievo al principio di leale collaborazione, le cui potenzialita' precettive si manifestano compiutamente negli ambiti di intervento nei quali s'intrecciano interessi ed esigenze di diversa matrice» (sentenza n. 33 del 2011). E l'applicazione di questo canone impone alla legge statale di predisporre adeguate modalita' di coinvolgimento delle Regioni a salvaguardia delle loro competenze" (ex multis Corte cost., sent. n. 230 del 2013, n. 33 del 2011, n. 219 del 2005, n. 50 del 2005). Cio' non e' avvenuto nel caso di specie, posto che l'introduzione della norma impugnata non e' stata preceduta da alcuna forma di cooperazione tra il legislatore statale e le singole regioni, mentre l'incidenza della disciplina di cui al comma 15-bis su un ambito materiale sottoposto a diversi ambiti di competenze, ne avrebbe reso necessario il coinvolgimento. L'eccepita lesione del principio di leale collaborazione, che ridonda direttamente sulle attribuzioni regionali di cui agli artt. 117 e 119 Cost., riguarda specialmente quelle regioni che, come la Regione Lazio, in attuazione dell'art. 8, d.lgs. n. 68/2011, hanno istituito e disciplinato autonomamente l'IRESA quale tributo proprio. Alla luce di quanto precede, si insiste affinche' venga dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 15-bis, del d.l. n. 145/2013, inserito dalla legge di conversione n. 9 del 2014, anche per violazione dell'art. 120 Cost., in combinato disposto con gli artt. 117 e 119 Cost., sotto il profilo di elusione del principio di leale collaborazione.